Tutto quello che c’è da sapere sulla placenta invecchiata Nel corso di una gravidanza si sente spesso parlare di placenta: si tratta infatti di un organo molto importante per la crescita del bimbo! Ma cosa si intende quando si parla di placenta invecchiata o placenta calcificata? Scopriamolo insieme!

Tutto quello che c'è da sapere sulla placenta invecchiata

La placenta è un organo straordinario che accompagna tutta la gravidanza: svolge il ruolo di filtro e di nutrimento, collegando in modo unico mamma e bambino e garantendo al piccolo ossigeno, anticorpi e tutte le sostanze necessarie alla crescita. Proprio per la sua importanza, qualsiasi alterazione della placenta merita attenzione. Una di queste condizioni è la cosiddetta placenta invecchiata, nota in ambito medico anche come placenta calcificata. Si tratta di un processo che può essere fisiologico, quando avviene nelle ultime settimane di gravidanza, oppure potenzialmente da monitorare se si manifesta troppo presto.

Noi di BlaBlaMamma vogliamo fare chiarezza: che cos’è esattamente la placenta invecchiata, quali sono le cause che possono favorirne la comparsa, come viene diagnosticata, quali rischi comporta per il bambino e cosa si può fare per prevenirla o gestirla al meglio.

Cos’è la placenta invecchiata?

Con l’avanzare della gestazione, soprattutto verso le ultime settimane di gravidanza, è normale che la placenta mostri segni di invecchiamento. In termini pratici significa che, all’ecografia, possono comparire delle piccole calcificazioni bianche simili a sassolini. Questo fenomeno prende il nome di placenta invecchiata o placenta calcificata.

Se la calcificazione si manifesta a fine gravidanza, si tratta di un processo del tutto fisiologico che non richiede alcun intervento particolare. La placenta, infatti, ha già svolto per mesi il suo compito di nutrire e proteggere il bambino, ed è naturale che inizi a mostrare segni di “usura”. Diverso è il discorso quando la placenta appare invecchiata troppo presto: in questo caso diventa fondamentale che il ginecologo tenga monitorata la situazione con controlli regolari, in particolare verificando che la crescita del feto prosegua senza rallentamenti.

Placenta invecchiata: le cause

La principale causa della placenta invecchiata è la durata stessa della gravidanza. Quando la gestazione si prolunga oltre le 40 settimane, è frequente che sulla superficie placentare compaiano calcificazioni, piccoli depositi bianchi visibili all’ecografia. In questo caso si tratta di un processo fisiologico legato all’età della placenta, che non rappresenta un pericolo se compare nelle fasi finali della gestazione.

Diverso è invece quando i segni di invecchiamento compaiono troppo presto: in quel caso entrano in gioco fattori che possono accelerare la calcificazione e rendere necessario un monitoraggio più stretto. Tra le cause più comuni troviamo:

  • il diabete gestazionale, che può alterare il normale funzionamento della placenta;
  • l’ipertensione arteriosa, che a sua volta è collegata a complicanze come la gestosi e può influenzare la corretta vascolarizzazione della placenta;
  • il fumo, che aumenta non solo il rischio di placenta invecchiata o distacco, ma può anche comportare un aborto spontaneo.

Altri elementi che la ricerca scientifica ha individuato come possibili fattori di rischio sono l’inquinamento ambientale, alcune infezioni e la predisposizione genetica. In ogni caso, sarà il ginecologo a stabilire la gravità della situazione e l’eventuale necessità di intensificare i controlli.
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Come si diagnostica la placenta invecchiata

La placenta invecchiata non dà sintomi evidenti alla mamma: non provoca dolore né segnali specifici percepibili durante la gravidanza. L’unico modo per individuarla è attraverso gli esami diagnostici di routine.

Lo strumento principale è l’ecografia, che consente al ginecologo di osservare l’aspetto della placenta e rilevare la presenza di piccole aree bianche, tipiche delle calcificazioni. In alcuni casi viene utilizzato un sistema di classificazione chiamato grading placentare, che suddivide l’aspetto della placenta in diversi gradi di maturità (da 0 a III). Un grado avanzato nelle prime fasi della gravidanza può essere un segnale da monitorare con più attenzione.

Oltre all’ecografia, il medico può prescrivere altri controlli, come la flussimetria Doppler, che valuta il flusso di sangue tra placenta e feto, e il monitoraggio cardiotocografico (CTG) per verificare il benessere del bambino. Grazie a questi esami, oggi è possibile distinguere con maggiore precisione un invecchiamento fisiologico da una condizione che richiede sorveglianza o interventi specifici.

I sintomi della placenta invecchiata

La placenta invecchiata non provoca sintomi riconoscibili dalla mamma: non ci sono dolori, fastidi o segnali specifici che possano far sospettare questa condizione senza esami diagnostici. In passato, quando non si disponeva di strumenti ecografici avanzati, non si riteneva nemmeno che potesse rappresentare un problema per il feto.

Oggi, invece, grazie a ecografie ad alta risoluzione è possibile individuare precocemente le piccole calcificazioni bianche simili a sassolini, tipiche dell’invecchiamento placentare. La presenza di queste calcificazioni non è di per sé indice di un pericolo immediato: come detto tutto dipende dal momento della gravidanza in cui compaiono e dal grado di calcificazione osservato.

Un altro aspetto da considerare è che, in caso di placenta invecchiata, alla nascita il neonato può presentare alcuni segni tipici: unghie già lunghe, pelle leggermente desquamata e ridotta quantità di vernice caseosa, la sostanza bianca che normalmente ricopre e protegge la pelle del bambino.

Quali sono i rischi per il bambino?

I rischi della placenta calcificata dipendono molto dal periodo della gravidanza in cui l’invecchiamento si manifesta.

Alla fine della gestazione, la calcificazione è un fenomeno fisiologico: la placenta ha già svolto il suo compito e, pur mostrando segni di invecchiamento, di solito non compromette il benessere del bambino. In questi casi è sufficiente mantenere i normali controlli fino al parto.

Diverso è se l’invecchiamento della placenta compare precocemente, nelle prime settimane o nel secondo trimestre. In queste situazioni, il rischio principale riguarda la crescita fetale: una placenta che non funziona correttamente può ridurre l’apporto di ossigeno e sostanze nutritive, con possibili conseguenze come:

  • ritardo di crescita intrauterino (IUGR), quando il feto cresce più lentamente del previsto;
  • ipossia fetale, cioè una riduzione dell’ossigeno disponibile per il bambino;
  • maggiore probabilità di problemi alla nascita, se la condizione non viene monitorata adeguatamente.

In rari casi, le calcificazioni possono causare la formazione di piccoli coaguli di sangue o irrigidire i vasi sanguigni placentari, limitando ulteriormente lo scambio di nutrienti tra mamma e bambino.

Si tratta comunque di complicanze poco frequenti. Nella maggior parte dei casi, il ginecologo valuta la situazione con esami mirati e stabilisce il percorso migliore per tutelare la salute di mamma e bambino.

Placenta invecchiata e parto

La presenza di una placenta invecchiata può influenzare le decisioni riguardo al momento e alle modalità del parto, ma non sempre comporta conseguenze immediate.

Quando la calcificazione compare verso la fine della gravidanza, nella maggior parte dei casi si prosegue normalmente fino al travaglio spontaneo, con un monitoraggio più frequente per garantire che il bambino continui a ricevere ossigeno e nutrienti a sufficienza.

Se invece l’invecchiamento placentare si manifesta in modo precoce o se gli esami (come ecografie o flussimetria Doppler) segnalano che il feto non cresce regolarmente, il ginecologo può valutare diverse opzioni:

  • proseguire la gravidanza con controlli ravvicinati, se la situazione è stabile e il benessere del bambino è garantito;
  • indurre il parto nelle ultime settimane di gestazione, se la placenta non funziona più in modo ottimale;
  • programmare un parto cesareo, nei casi in cui il monitoraggio evidenzi una sofferenza fetale o un rischio elevato per il piccolo.

Ogni scelta viene valutata caso per caso, tenendo conto sia della salute della mamma che delle condizioni del bambino. L’obiettivo rimane sempre lo stesso: garantire la nascita in sicurezza e ridurre al minimo i rischi legati a un funzionamento ridotto della placenta.

Placenta invecchiata: si può prevenire?

Un corretto stile di vita durante la gravidanza è la chiave per ridurre il rischio di una placenta invecchiata in modo precoce. Non significa adottare regole rigide, ma prendersi cura di sé e del bambino attraverso piccole attenzioni quotidiane.

L’alimentazione gioca un ruolo centrale: non si tratta di “mangiare per due”, ma di scegliere cibi ricchi di nutrienti fondamentali. Un esempio è il calcio, indispensabile per lo sviluppo di ossa e denti del bambino e per la funzionalità muscolare e cardiaca della mamma. In gravidanza il fabbisogno quotidiano si aggira intorno ai 1.200 mg: un obiettivo che può essere raggiunto attraverso latte e derivati, verdure a foglia verde, frutta secca e, se necessario, con integratori specifici consigliati dal ginecologo.

Oltre al calcio, sono importanti anche ferro, acido folico, vitamina D e omega-3, nutrienti che sostengono il buon funzionamento della placenta e la crescita fetale.

Per favorire il benessere placentare è utile anche:

  • smettere di fumare, per ridurre il rischio di calcificazioni precoci, distacco o complicanze gravi;
  • controllare la pressione arteriosa, soprattutto in caso di predisposizione all’ipertensione;
  • mantenere un peso adeguato e praticare attività fisica dolce, come camminate o ginnastica prenatale;
  • bere acqua a sufficienza, per favorire la corretta circolazione sanguigna e l’ossigenazione dei tessuti;
  • effettuare i controlli periodici, così da intercettare eventuali segni di invecchiamento placentare in anticipo.

La prevenzione non può eliminare del tutto la possibilità che la placenta invecchi, ma aiuta a ridurre i fattori di rischio e a garantire un ambiente sano in cui il bambino possa crescere.

Conclusioni

La placenta invecchiata, o placenta calcificata, è una condizione che nella maggior parte dei casi rappresenta un processo naturale che avviene verso la fine della gravidanza. Quando però compare in modo precoce, richiede maggiore attenzione e controlli più ravvicinati per garantire che il bambino continui a crescere in salute.

Una buona alimentazione, uno stile di vita sano e i controlli periodici con il ginecologo sono i migliori alleati per ridurre i fattori di rischio e affrontare la gravidanza con serenità. Con le moderne tecniche ecografiche e il monitoraggio continuo, oggi è possibile riconoscere e gestire tempestivamente eventuali complicazioni, proteggendo così il benessere di mamma e bambino.

Domande frequenti sulla placenta invecchiata

Placenta invecchiata a 32 settimane: cosa significa?

Se l’ecografia mostra segni di placenta invecchiata già intorno alla 32ª settimana, la situazione va considerata con attenzione perché non rientra nel normale processo fisiologico che avviene solo nelle ultime settimane di gravidanza. In questi casi il ginecologo intensifica i controlli, utilizzando ecografie e flussimetria Doppler per verificare che il bambino riceva ossigeno e nutrienti sufficienti e che la sua crescita proceda in modo regolare.

Placenta invecchiata comporta sempre dei rischi?

No, non sempre. Quando si verifica nelle ultime settimane di gravidanza è un processo normale. Diventa più rilevante solo se appare troppo presto o se compromette il nutrimento e l’ossigenazione del feto.

Con placenta invecchiata si può avere un parto naturale?

Sì, nella maggior parte dei casi. Se i controlli dimostrano che il bambino sta bene, il parto spontaneo è possibile. In caso di sofferenza fetale o complicazioni, il ginecologo può valutare l’induzione o il cesareo.

Placenta invecchiata e cesareo: è sempre necessario?

Il cesareo non è obbligatorio. Viene preso in considerazione solo se il benessere del bambino è a rischio o se la placenta non garantisce più un adeguato scambio di ossigeno e nutrienti.