Tra le diverse fasi del parto, c’è un momento conclusivo che spesso passa inosservato ma che ha un ruolo fondamentale: il secondamento. Si tratta della fase che segue la nascita del bambino e che vede l’espulsione della placenta, l’organo che per nove mesi ha nutrito e protetto la vita nel grembo materno.
Conoscere bene cosa succede durante il secondamento, quali sono le sue modalità, dal secondamento fisiologico al secondamento manuale, e quali eventuali complicazioni possono presentarsi, aiuta le neo mamme ad affrontare questo momento con maggiore serenità e consapevolezza.
Noi di BlaBlaMamma abbiamo raccolto tutte le informazioni più importanti per spiegare cos’è il secondamento, come avviene e perché è un passaggio delicato ma naturale, che conclude l’incredibile viaggio della nascita.
- Cos’è il secondamento e perché è importante
- Quanto dura il secondamento placenta
- Secondamento fisiologico: come avviene
- Secondamento attivo: che cos’è e quando si pratica
- Secondamento manuale: cos’è e come avviene
- Complicazioni possibili del secondamento
- Cosa succede dopo il secondamento
- Conclusioni
- FAQ sul secondamento
Cos’è il secondamento e perché è importante
Il secondamento rappresenta la fase conclusiva del parto, quella in cui avviene il distacco e l’espulsione della placenta dal corpo della mamma. È un passaggio naturale che, nella maggior parte dei casi, si completa senza dolore e senza necessità di interventi esterni.
Generalmente, il secondamento avviene tra i 5 e i 40 minuti dopo la nascita del bambino, grazie a una nuova contrazione spontanea dell’utero che spinge verso l’esterno la placenta e gli annessi fetali. Subito dopo il parto, infatti, il cordone ombelicale smette di pulsare e l’utero si contrae assumendo la tipica forma sferica chiamata “globo di sicurezza”. In questo modo i vasi sanguigni che collegavano la placenta alla parete uterina si restringono, riducendo il rischio di emorragie.
Oltre alla placenta, che per nove mesi ha garantito nutrimento e ossigeno al piccolo ma che dopo la nascita non ha più funzione, vengono espulsi anche gli annessi fetali, cioè il cordone ombelicale e le membrane amniocoriali che formavano il sacco gestazionale.
Un momento delicato ma fondamentale è il controllo da parte dell’ostetrica o del medico: la placenta deve risultare integra, senza frammenti rimasti all’interno dell’utero. In caso contrario, infatti, possono insorgere complicazioni come infezioni o emorragie, che richiedono un intervento tempestivo.
Quanto dura il secondamento placenta
La durata del secondamento placenta può variare da donna a donna e da parto a parto. Nella maggior parte dei casi questo processo si completa in tempi brevi, compresi tra i 5 e i 30 minuti dopo la nascita del bambino. In alcune situazioni, però, il distacco e l’espulsione della placenta possono richiedere fino a un’ora.
Quando il secondamento avviene entro questi tempi si parla di evento fisiologico e non c’è motivo di preoccuparsi. Se invece la placenta non viene espulsa spontaneamente oltre i 60 minuti, i professionisti sanitari possono valutare di intervenire con una gestione attiva, somministrando farmaci che stimolano le contrazioni o ricorrendo al secondamento manuale.
È bene ricordare che la tempestività in questa fase è importante: un secondamento troppo lungo può aumentare il rischio di complicazioni, come la ritenzione placentare o una maggiore perdita di sangue. Per questo, durante tutto il processo la mamma è attentamente monitorata dall’ostetrica e dal personale medico.
Secondamento fisiologico: come avviene
Il secondamento fisiologico è la modalità naturale con cui la placenta viene espulsa dopo la nascita del bambino. In condizioni normali si completa entro un’ora dal parto, senza bisogno di interventi esterni e senza dolore significativo per la mamma.
Durante questa fase l’utero continua a contrarsi, seppur in modo meno intenso rispetto al travaglio, favorendo il distacco della placenta dalla parete uterina. La perdita di sangue che accompagna il secondamento è generalmente lieve e considerata fisiologica.
I segnali che indicano che il secondamento è in corso o sta per avvenire sono piuttosto chiari:
- allungamento del cordone ombelicale, segno che la placenta si sta staccando
- risalita dell’utero verso la parte alta dell’addome, che assume la forma compatta del cosiddetto “globo di sicurezza”
- piccola perdita ematica, del tutto normale in questo passaggio
In questa fase l’ostetrica assiste e monitora la mamma, pronta a intervenire solo se necessario. Nella grande maggioranza dei casi il secondamento fisiologico procede senza complicazioni e rappresenta il completamento naturale del parto.
Secondamento attivo: che cos’è e quando si pratica
Il secondamento attivo è una pratica che viene utilizzata in diversi ospedali per ridurre il rischio di emorragie post partum e accelerare l’espulsione della placenta. A differenza del secondamento fisiologico, che avviene spontaneamente, in questo caso l’ostetrica o il medico intervengono per stimolare e guidare il processo.
La gestione attiva del secondamento prevede in genere la somministrazione di un farmaco uterotonico, come l’ossitocina, subito dopo la nascita del bambino. Questo aiuta l’utero a contrarsi in modo più rapido ed efficace, favorendo il distacco della placenta.
Oltre ai farmaci, possono essere applicate tecniche manuali di supporto, come una leggera pressione sull’utero per agevolarne la contrazione e facilitare la fuoriuscita della placenta.
Il secondamento attivo viene praticato soprattutto nei casi in cui la mamma presenti fattori di rischio per emorragie, come un travaglio particolarmente lungo, una gravidanza gemellare o la presenza di anemia. In queste circostanze l’intervento tempestivo dei professionisti riduce i rischi e garantisce maggiore sicurezza.
Cos’è il secondamento manuale e come avviene
Quando il distacco spontaneo della placenta non avviene entro un’ora dalla nascita del bambino, oppure se l’espulsione è solo parziale, si rende necessario l’intervento del personale sanitario. In questi casi si può ricorrere al secondamento manuale, una procedura che permette di completare in sicurezza la fase conclusiva del parto.
Il primo passo è spesso la somministrazione di una piccola dose di ossitocina, utile a stimolare le contrazioni uterine e favorire l’espulsione della placenta. Se questo non basta, l’ostetrica o la ginecologa possono procedere manualmente.
La tecnica più utilizzata è la cosiddetta manovra di Brandt-Andrews, che prevede due azioni coordinate: con una mano si esercita una pressione delicata sull’addome materno per sostenere e spingere l’utero verso l’alto e all’indietro, mentre con l’altra si applica una leggera trazione controllata sul cordone ombelicale. Questo duplice movimento aiuta il distacco completo e l’espulsione della placenta.
Il secondamento manuale viene sempre eseguito da professionisti esperti, in un ambiente protetto e sotto monitoraggio, per ridurre al minimo i rischi e garantire la sicurezza della mamma.
Complicazioni possibili del secondamento
Il secondamento, nella maggior parte dei casi, avviene senza difficoltà. Tuttavia, sia nella forma fisiologica sia quando si ricorre al secondamento manuale, possono presentarsi alcune complicazioni che richiedono l’intervento tempestivo del personale sanitario.
Una delle situazioni più delicate è l’inversione uterina, evenienza rara che può verificarsi se la manovra di Brandt-Andrews viene eseguita con eccessiva forza. In questo caso l’utero tende a rovesciarsi verso l’esterno, comportando un rischio significativo per la mamma.
Altre complicazioni possibili sono:
- Ritenzione placentare, quando la placenta o le membrane fetali non vengono espulse del tutto entro 24 ore dal parto
- Atonia uterina, una condizione in cui l’utero non riesce a contrarsi in modo efficace, causando un’emorragia più abbondante del normale
Per prevenire problemi, è fondamentale la verifica finale da parte dell’ostetrica o del medico: la placenta deve essere controllata con attenzione per accertarsi che sia stata espulsa nella sua interezza. La presenza di frammenti residui all’interno dell’utero potrebbe infatti provocare infezioni, sanguinamenti o altre complicazioni che rendono necessario un trattamento immediato.
Un monitoraggio accurato in questa fase è quindi essenziale per la sicurezza e il benessere della neo mamma.
Cosa succede dopo il secondamento
Dopo l’espulsione della placenta il parto può dirsi concluso, ma l’attenzione verso la mamma resta alta. In questa fase l’utero continua a contrarsi per ridurre progressivamente il sanguinamento e favorire il ritorno alla normalità. Le contrazioni possono essere avvertite come crampi simili a quelli mestruali e prendono il nome di “morsi uterini”.
L’ostetrica o il medico controllano che la placenta sia stata espulsa in modo completo e che l’utero stia reagendo correttamente, mantenendo la tipica forma compatta del “globo di sicurezza”. Nelle ore successive viene monitorata anche la perdita di sangue, che deve rimanere entro limiti considerati fisiologici.
Per la mamma, questo è il momento in cui può finalmente dedicarsi al contatto pelle a pelle con il bambino, iniziare l’allattamento e vivere le prime ore di conoscenza reciproca. Il secondamento segna quindi non solo la fine del parto, ma anche l’inizio della nuova fase di accudimento e di legame con il neonato.
Conclusioni
Il secondamento rappresenta la fase finale del parto, un passaggio naturale e fondamentale che completa il percorso della nascita. Che avvenga in modo fisiologico, con gestione attiva o attraverso il secondamento manuale, l’obiettivo è sempre lo stesso: permettere alla placenta di essere espulsa in sicurezza, riducendo al minimo i rischi per la mamma.
Nella maggior parte dei casi il processo si svolge senza complicazioni, seguito attentamente dall’ostetrica o dal medico, che garantiscono la tranquillità necessaria alla neo mamma. Conoscere come funziona e quali sono le possibili varianti aiuta a vivere questo momento con maggiore consapevolezza, rassicurandosi sul fatto che si tratta di un evento fisiologico previsto dalla natura e gestito in sicurezza dai professionisti sanitari.
FAQ sul secondamento
Quanto dura il secondamento placenta?
Nella maggior parte dei casi il secondamento placenta dura dai 5 ai 30 minuti, ma può arrivare fino a un’ora senza che vi siano complicazioni. Se i tempi si prolungano oltre, il personale medico valuta un intervento attivo o manuale.
Il secondamento manuale fa male?
Il secondamento manuale viene eseguito solo quando necessario e sempre da professionisti. Può risultare fastidioso, ma la mamma è assistita e, se serve, vengono utilizzati farmaci antidolorifici per ridurre il disagio.
Cosa succede se la placenta non viene espulsa?
Se la placenta non viene espulsa spontaneamente si parla di ritenzione placentare. In questo caso è fondamentale un intervento medico per rimuoverla ed evitare complicazioni come infezioni o emorragie.
Il secondamento è sempre uguale in tutti i parti?
No, ogni parto è diverso. Alcune mamme vivono un secondamento fisiologico rapido e senza fastidi, mentre altre possono avere bisogno di un supporto attivo o manuale. In ogni caso la procedura è monitorata per garantire sicurezza e benessere.