
Forse non tutti conoscono la parola phubbing, ma la scena è familiare: una mamma o un papà che, mentre il bambino parla o chiede attenzione, resta con lo sguardo fisso sullo schermo dello smartphone. Un gesto apparentemente innocuo, ma che può trasformarsi in un’abitudine capace di minare la relazione con i figli.
Questo fenomeno, noto come phubbing genitori, è sempre più diffuso e solleva domande importanti su come la tecnologia stia modificando il tempo e la qualità delle relazioni familiari.
Noi di BlaBlaMamma vogliamo fare chiarezza su cosa sia davvero il phubbing, quali effetti possa avere sui bambini e, soprattutto, come tornare a vivere momenti autentici insieme.
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- Cos’è il phubbing: significato e origine del termine
- Phubbing in famiglia: quando i genitori ignorano i figli
- Effetti del phubbing sui bambini e sul legame familiare
- Come riconoscere un phubber: i comportamenti tipici
- Phubbing inverso: quando sono i figli a ignorare i genitori
- Phubbing, cosa fare: consigli pratici per genitori consapevoli
- Conclusioni
 
Cos’è il phubbing: significato e origine del termine
Il termine phubbing nasce dalla fusione di due parole inglesi: phone (telefono) e snubbing (snobbare). Indica l’atto di ignorare le persone accanto a sé per concentrarsi sullo smartphone, un comportamento ormai comune nella vita quotidiana. Il concetto è stato approfondito anche dai ricercatori dell’Università Bicocca di Milano, che lo descrivono come una delle forme più sottili di disconnessione relazionale dell’era digitale. In pratica, si tratta di dare più attenzione al telefono che alle persone presenti. Il phubbing non riguarda solo le amicizie o la coppia, ma anche i rapporti tra genitori e figli, dove il suo impatto può essere particolarmente profondo. Ignorare un bambino mentre parla o cerca uno sguardo d’intesa significa privarlo di una forma essenziale di ascolto e presenza emotiva.
Phubbing in famiglia: quando i genitori ignorano i figli
Per anni l’attenzione si è concentrata sul tempo che i bambini trascorrono davanti agli schermi, tra televisione, tablet e videogiochi. Ma oggi la domanda si è capovolta: cosa accade quando sono i genitori a essere “catturati” dallo smartphone? Proprio su questo aspetto si sono concentrati i ricercatori dell’Università Bicocca di Milano, autori dello studio “Mom, Dad, Look at Me – The Development of the Parental Phubbing Scale”[1], che analizza l’interferenza della tecnologia nelle relazioni genitore-figlio.
Secondo i risultati, il phubbing genitoriale è un comportamento sempre più comune, spesso messo in atto in modo inconsapevole: controllare una notifica, rispondere a un messaggio o dare un’occhiata ai social può sembrare un gesto innocente, ma nel tempo rischia di creare una distanza emotiva.
I bambini che si sentono ignorati o messi “in attesa” davanti a uno schermo sviluppano più facilmente sentimenti di frustrazione, insicurezza o tristezza. Questo non solo indebolisce il legame affettivo con i genitori, ma può incidere anche sull’equilibrio dell’intera famiglia.
Effetti del phubbing sui bambini e sul legame familiare
Il phubbing è stato definito come una forma moderna di esclusione: si sostituisce l’attenzione verso le persone reali con quella rivolta a uno schermo. In un contesto familiare, questo atteggiamento può avere conseguenze significative sul benessere emotivo dei bambini. Uno studio condotto dai ricercatori dell’Università Bicocca di Milano su oltre 3.000 adolescenti tra i 15 e i 16 anni ha rivelato che i figli di genitori più “dipendenti” dal telefono si sentono spesso ignorati, esclusi e poco coinvolti nella vita di famiglia.
Nel lungo periodo, questa sensazione di invisibilità può minare la fiducia e la comunicazione all’interno del nucleo familiare, rendendo più difficile instaurare un rapporto sereno tra genitori e figli.
I bambini che subiscono costantemente phubbing possono sviluppare sintomi di ansia, tristezza o bassa autostima, fino a forme più gravi come isolamento sociale o tendenza alla chiusura emotiva.
In pratica, ogni volta che uno sguardo viene sostituito da un display, si spezza un piccolo filo di connessione affettiva, e il rischio è che quei fili, con il tempo, diventino sempre più sottili.
Come riconoscere un phubber: i comportamenti tipici
Il phubber è la persona che, spesso senza rendersene conto, dà più spazio allo smartphone che alle persone presenti accanto a sé. È un comportamento che può sembrare banale, ma che rivela un’abitudine sempre più diffusa: la difficoltà di “staccare” dal mondo digitale anche nei momenti di relazione. Riconoscere i segnali del phubbing è il primo passo per cambiare rotta e ritrovare una connessione autentica con chi si ama. Ecco i comportamenti più comuni da tenere d’occhio:
- avere sempre il telefono in mano o sul tavolo, anche durante i pasti o le conversazioni;
- controllare lo schermo di continuo, anche in assenza di notifiche o suoni;
- rispondere a messaggi o aprire app mentre qualcuno sta parlando;
- approfittare di ogni pausa per dare un’occhiata al cellulare;
- mostrare all’interlocutore video, foto o chat al posto di dialogare davvero;
- negare di avere un problema o minimizzare il proprio comportamento.
Questi gesti, ripetuti giorno dopo giorno, possono sembrare innocenti, ma diventano segnali di una dipendenza silenziosa che rischia di compromettere la qualità del tempo condiviso in famiglia.
Phubbing inverso: quando sono i figli a ignorare i genitori
Nelle famiglie di oggi la distrazione digitale non riguarda però solo gli adulti: è diventata una dinamica reciproca. Sempre più spesso, infatti, anche bambini e adolescenti restano immersi nei social, nei videogiochi o nelle chat, finendo per ignorare mamma e papà proprio come a volte vedono fare agli adulti.
Questo comportamento, conosciuto come “phubbing inverso”, nasce da un effetto a specchio: i figli apprendono ciò che osservano. Se un genitore trascorre molto tempo con lo sguardo sullo schermo, il bambino tenderà a riprodurre la stessa abitudine, trasformando la tecnologia nel nuovo linguaggio familiare. Così, la comunicazione reale si riduce e diventa più difficile condividere momenti di qualità.
Molti genitori raccontano di provare frustrazione quando cercano di parlare con i figli e ottengono solo risposte distratte o sguardi rivolti al telefono. Non si tratta di mancanza di rispetto, ma di una difficoltà crescente a mantenere l’attenzione in un mondo fatto di stimoli continui.
Riconoscere il phubbing inverso è il primo passo per ristabilire l’equilibrio: creare momenti condivisi, proporre attività offline e stabilire regole chiare sull’uso dei dispositivi può aiutare tutta la famiglia a riscoprire la connessione autentica e il piacere di parlarsi davvero.
Phubbing, cosa fare: consigli pratici per genitori consapevoli
Riconoscersi in questo comportamento non significa essere “cattivi genitori”, ma semplicemente prendere atto di quanto lo smartphone sia diventato parte della vita quotidiana. Il primo passo è proprio questo: accorgersene. Da lì inizia un percorso di consapevolezza che può trasformare il rapporto con la tecnologia e con i propri figli.
Se il bisogno di restare sempre connessi è forte, può essere utile confrontarsi con un professionista, ma anche piccoli gesti quotidiani possono fare una grande differenza. Ecco alcuni consigli pratici per recuperare il tempo e la presenza autentica in famiglia:
- Tenere il cellulare lontano durante i momenti condivisi: in tasca o in borsa, non sempre in mano. La distanza fisica aiuta a ridurre l’impulso di controllarlo continuamente.
- Stabilire momenti “no phone” in casa: durante i pasti, prima di dormire o nei weekend. Possono diventare rituali familiari di connessione reale.
- Provare le app detox: esistono applicazioni che monitorano il tempo trascorso sullo schermo e aiutano a impostare limiti o a bloccare notifiche superflue.
- Vivere nel presente: ogni momento è un’occasione per ridere, giocare o semplicemente ascoltare. Non lasciare che uno schermo rubi questi istanti preziosi di condivisione e presenza.
- Dare il buon esempio: i bambini imparano osservando. Mostrare che è possibile mettere da parte il telefono è il modo più efficace per insegnare loro a farlo.
Cambiare abitudini richiede tempo, ma ogni passo verso una connessione più autentica con i propri figli è un investimento sul loro equilibrio emotivo, e sul proprio.
Conclusioni
Il phubbing è un comportamento che può insinuarsi nella quotidianità senza che ce ne si accorga, ma riconoscerlo è il primo passo per tornare a dare valore a ciò che conta davvero: le relazioni umane, gli sguardi, la presenza. In famiglia, uno smartphone in meno sul tavolo può diventare un’occasione in più per ridere insieme, raccontarsi la giornata o semplicemente ascoltarsi.
Non serve demonizzare la tecnologia, ma imparare a usarla con equilibrio e consapevolezza. Scegliere di essere presenti, ogni giorno, è un gesto d’amore che aiuta i bambini a sentirsi visti, accolti e importanti.
E in fondo, nessuna notifica potrà mai valere quanto un abbraccio dato al momento giusto.
NOTE
1. Sage Journals, Mom, dad, look at me: The development of the Parental Phubbing Scale
 
		 
			